Creare non è un piacere, è una necessità profonda. La dialettica tra pensiero e azione, tra azione e linguaggio scompare ai miei occhi nel momento in cui la mia vita si dissolve nel mio lavoro. Lascio agli altri decidere si vi siano contenuti o solo tracce di un gesto impulsivo ed effimero ma che, comunque, fa battere forte il cuore.
Cosi si esprimeva in un’intervista Jean Raine (Schaerbeek Bruxelles 1927-Rochetaillée-sur-Saône Francia 1986) pittore, poeta, cineasta belga che Il Salotto ripropone nell’ambito degli omaggi dovuti ai tanti amici artisti che sono passati in quarant’anni di attività di galleria. Nel caso di Jean Raine fu un primo soggiorno sull’Isola Comacina nel 1965 su invito del Ministero dei Beni culturali belga a portarlo a Como, occasione anche di viaggio per le nozze con Sanky Rolin Hymans, sua terza moglie e compagna di tanti progetti. Negli anni Settanta la galleria Il Salotto organizzerà due personali, nel 1974 e nel 1979, e una mostra nel 1977 a quattro mani con l’amico artista italiano Vincenzo Torcello.
Figura complessa e completa nell’ambito delle avanguardie storiche del secondo dopoguerra, Jean Raine inizia giovanissimo un proprio percorso personale basato su un solido bagaglio culturale e incontri importanti tra Bruxelles, Parigi, l’America e l’Italia. Dopo gli studi classici si iscrive alla facoltà di scienze politiche anche se arte e letteratura restano i suoi grandi amori e la pittura uno strumento per esprimere le proprie sensazioni. In puro stile Dada cambia il suo vero nome, Jean-Philippe Robert Geenen, in Jean R.A.I.N.E, composto estraendo alcune lettere da un cappello.
In patria non ancora ventenne, conosce il drammaturgo Michel De Ghelderode, lo affascina il suo modo di fare teatro in cui esalta i misteri della creazione, della vita e della morte, rappresentati con una forte valenza espressionistica, un po’ truce mescolando il fantastico pittorico, la costruzione filmica, la buffoneria carnascialesca e il puro misticismo ; si interessa di cinema attraverso André Thirifays, fondatore della Cineteca del Belgio, frequenta gli atelier del Marais una sorta di Bateau-lavoir artistico-letterario creato da Pierre Alechinsky in una vecchia casa di Bruxelles ; prende contatti con il gruppo surrealista e in particolare con René Magritte e, anche se in comune non hanno molto nè sul piano artistico nè su quello politico-sociale, Magritte individua in lui un talento non comune degno di stima e di attenzione - in futuro non sarebbe mai mancato ad una sua mostra.
Grazie a Magritte Raine entra anche in contatto con il gruppo surrealista francese e a Parigi, dove segue corsi di psicologia alla Sorbona e prepara una tesi sul cinema astratto, conosce Breton, Matta, Victor Brauner - " un grande amico e spirito indipendente " - e il Dr. Pierre Mabille - " un maestro e un padre "- con il quale realizza nel 1949 uno dei suoi primi film sperimentali " Le Test du Village " Nel contempo prosegue la sua grande produzioni di scritti, articoli, racconti, poesie, frequenta gli esistenzialisti (Juliette Gréco, Michel de Ré, Malkine), collabora per più di quindici anni con Henri Langlois direttore della Cineteca francese, conosce tanti personaggi del mondo del cinema Cocteau, Barsacq, Renée Moullard e il famoso mimo Marcel Marceau fù un grande amico, un logorroico, - peccato che non prendessi appunti durante le nostre interminabili conversazioni - un artista che ha fatto del silenzio strumento per trasmettere vitalità e una nuova concezione di messa in scena e di tecnica recitativa.
Era volubile e chiacchierone e ....inadatto a recitare le mie poesie.
Dal movimento surrealista al movimento Cobra il passo è breve ma Jean Raine sarà capace di fondere l’esperienza maturata in ambedue i movimenti in un personale percorso grafico : alla concezione surrealista "della creazione automatica senza il controllo della ragione" cara a Breton egli sostituisce quella più scientifica delle teorie di Freud e dell’interesse per l’attività dei sogni quale via per giungere alla conoscenza dell’anima ; alla concezione surrealista della vita un po’ troppo formale, elitaria, ottusa e intellettualizzata preferisce quella dei Cobra di collaborazione organica, di sperimentazione dei materiali, di percezione di un’arte più spontanea, più vicina a quella primitiva, popolare, infantile ma nel contempo innovativa.
Un’arte non separabile dalla società a cui ci si approvvigiona, che utilizza simboli, figure, motivi improntati alla natura, ai buoni e cattivi spiriti, alla fertilità, alla vita, alla morte, alla sensualità, un’arte che vuole riconciliare l’uomo con l’universo e il creato con una lingua e scrittura universale. Un’arte che accomuna pittura e scrittura, scrittura e cinema, quest’ultimo visto come una sintesi di poesia, musica, immagine e tecnica. Jean Raine partecipa nel 1950 alla realizzazione dell’unico film Cobra "Perséphone" e nel 1951 organizza a Liegi, in parallelo alla grande mostra d’arte Cobra, il festival del film sperimentale al Palais des Beaux Arts. Paradossalmente il 1951 segna l’apoteosi e la fine di Cobra, un movimento di breve durata ma che ha segnato profondamente le nuove avanguardie a seguire, movimento che Jean Raine porterà avanti in solitario con un suo stile personale.
L’opera di Raine si distingue di fatto per la forza selvaggia del gesto, sensuale e furioso, atletico nei grandi formati, per una pittura barocca e fantastica che evoca strane feste e sontuosi incubi, una pittura ebbra di colore e di segni senza ripensamenti, in cui anche il suo monogramma J.R. ingrandito è esso stesso motivo pittorico, testimone del continuo combattimento ingaggiato con se stesso, con la società, con la vita e portato all’esasperazione.
Ogni volta che inizia a dipingere è come se si lanciasse in una totale frenesia creativa, come se fosse l’ultima possibile, che lo rende spossato, al limite delle forze, al limite della vita, in una sorta di autodistruzione liberatoria. A volte pesantissime e dolorose le conseguenze con ricoveri in ospedale da cui esce ogni volta con determinazione per gettarsi in una nuova lotta, violenta - per uno come lui incapace nella vita di un simile sentimento - per colmare il vuoto di una tela e annullarsi nel lavoro, come in una danza rituale, dimentico delle proprie paure.
Durante uno di questi ricoveri incontra una terapista di gruppo, Sankisha Rolin Hymans, colei che diventerà la sua terza moglie e compagna di tanti progetti tra cui la fondazione di un Club dedicato all’amico Antonin Artaud, per il recupero di persone in difficoltà esistenziale, club che era gruppo teatrale, laboratorio di pittura, scultura, fotografia, cinema ; esperienza che porteranno anche al di fuori delle strutture ospedaliere. Seguono anni di intensa attività, riconoscimenti e mostre in patria e all’estero. Nel 1966 Raine segue la moglie negli Stati Uniti per un corso di specializzazione e lavora per due anni a San Francisco dove abbandona temporaneamente le amate chine cinesi per sperimentare nuovi pigmenti acrilici che trasforma in una materia calda, dolce, voluttuosa di colori straordinari : dal verde, al rosso, all’oltremare, al prussia, al vermiglio, all’oro, al granato.
Da questo ribollire cromatico affiorano visioni, corpi umani, visi, occhi, animali che si mescolano a ghirlande di fiori di una foresta inviolata.
Al rientro dall’America i Raine per esigenze di lavoro di Sanky si trasferiscono in Francia e si stabiliscono definitivamente a Rochetaille-sur-Saône vicino a Lione dove Jean pratica "l’esercizio del silenzio" lavorando intensamente e "ruminando la scorta di cultura immagazzinata". Ma la sua pittura risente della mancanza dei luminosi paesaggi californiani e dell’isolamento di una città e di un ambiente chiuso e conservatore, inizia cosi’ il "periodo blu" in cui immagini fantastiche e sconvolgenti si contorcono con frenesia in una danza celeste.
E’ intransigente, tormentato, con un profondo senso della responsabilità, buono e appassionato, mantiene contatti con il mondo della cultura internazionale e nel contempo non smette di andare alla ricerca dei propri fantasmi. Dipinge per essere al centro delle cose, dipinge con "il cuore messo a nudo", per risorgere dalle negatività della vita, per risvegliare un’alchimia di meccanismi cieca e sotterranea che gli permetta di stregare lo spazio, ossessionarlo e riempirlo di cio’ che di più drammatico e pesante risiede in lui in una sorta di "esorcismo d’angoscia" in cui perdersi ma che nel contempo nasconde e tradisce una mediazione tra l’uomo dannato e l’uomo salvato, tra l’uomo guerriero e l’uomo pacifico, tra la parola e l’urlo, tra la smorfia e il sorriso